lunedì 22 marzo 2010

Uomo, natura, vita

Insieme a Parmenide, tutti i più grandi animi della storia si interrogarono sul significato della vita. E, nel descriverla, non fu raro che la paragonassero più o meno esplicitamente alla profondità dell’anima umana, quest’anima infinita di cui “per quanto camminassimo e percorressimo intera la vita, non potremmo mai toccare i confini: così profondo è il suo discorso” (Eraclito). Infatti “non esiste un puro e semplice essere che non ci riguardi e che noi contempliamo solo per il gusto di contemplarlo; quello che in generale esiste per noi, esiste solo mediante la sua relazione con noi” (Fichte).

E così la natura. Come potevamo conoscerla se era fuori di noi? Si cercava quale fosse “quel legame segreto che unisce il nostro spirito con la natura, o quell’organo nascosto in virtù del quale la natura parla al nostro spirito e il nostro spirito parla alla natura” (Schelling). E anche della natura non si poteva che “implicare un rapporto a qualcosa di soprasensibile” (Kant). Cioè l’uomo poteva conoscere la natura perché entrambi parevano manifestazioni dell’“essere assolutamente infinito” (Spinoza), tanto che particolarmente dell’animo umano si disse che era “dio” (Salmi), “Assoluto” (Schelling), “direttamente confinante con la Verità” (Plotino).

Antonio Meneghetti tratta questi argomenti in molti dei suoi testi, ma per una visione sintetica e comunque esaustiva ci si può rifare soprattutto ai libri “Filosofia ontopsicologica” e “Dalla coscienza all’essere. Come impostare la filosofia del futuro” (Psicologica Ed., 2002-V ed. e 2009). Ne “L’In Sé dell’uomo” (Psicologica Ed., 2002-V ed.), poi, l’autore tratta nello specifico il progetto di natura che costituisce l’essere umano, descrivendone anche le caratteristiche. Egli afferma che “l’uomo è un ente storico che dovrebbe progressivamente tradurre in azione la propria interiore virtualità”.